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Eredità digitale: un passo in avanti verso il futuro, tra questioni di privacy e diritti post-mortem. Lo storico provvedimento del Tribunale di Milano. Avv. Dario Tornese

25 febbraio 2021

L’eredità digitale… - La disciplina legislativa degli aspetti afferenti all’appartenenza dell’individuo al mondo digitale, con particolare riferimento alla tutela dei dati che ognuno di noi genera quotidianamente, rappresenta, senz’altro, una delle sfide del futuro dalle quali è impossibile sottrarsi.

Se, da un lato, per aggirare il vuoto normativo e sopperire all’assenza di un vero e proprio corpus di norme il mondo digitale attinge la stragrande maggioranza delle sue regole del “mondo analogico”, nei fatti, ciò, non sempre avviene, soprattutto al di fuori delle aule giudiziarie, dove molti fenomeni digitali godono di una tutela del tutto diversa e senz’altro più scarna, solo perché concernenti un mondo non umano.

L’eredità digitale rappresenta, senz’altro, uno degli istituti più coinvolti in tale gap, al punto che, a tutt’oggi, questa materia tanto delicata quanto complessa è regolata da una disciplina assai stringata, che non sempre è in grado di far fronte alle esigenze di tutela dei diritti dell’utente digitale – rectius – dei suoi eredi.

… e il GDPR. - L’entrata in vigore del Regolamento Europeo 2016/679 (noto ai più con l’acronimo GDPR) avrebbe rappresentato, senz’altro, l’occasione giusta per porre un rimedio incisivo volto a colmare quel vacuum che – senz’altro volutamente – lascia privi di disciplina taluni aspetti fondamentali di questa materia, tuttavia, la reticenza delle Istituzioni europee ad operare interventi invasivi all’interno degli Stati Membri in ambiti sicuramente delicati, ha portato ad escludere che le disposizioni contenute nel richiamato Regolamento possano trovare applicazione anche in riferimento ai dati delle persone defunte, rimettendo ai singoli Ordinamenti la possibilità di introdurre norme specifiche per disciplinare il trattamento dei dati dopo la morte di un soggetto.

Ciononostante, a dimostrazione che nell’epoca della digitalizzazione, quale è quella che stiamo vivendo, la tutela dei dati-beni digitali di un individuo rappresenta un’esigenza fortemente sentita è data dalle azioni intraprese da colossi del web quali Microsoft, Google o Facebook, i quali hanno previsto la possibilità, per i loro utenti, di fornire istruzioni precise sul trattamento e sul destino dei propri dati dopo la morte, ovvero di indicare un soggetto “erede” che potrà entrarne in possesso e disporne liberamente, come avviene – in sostanza – per i beni materiali.

Il caso Apple. - Come noto, tuttavia, la lungimiranza non è un pregio diffuso, tant’è che alcune società che operano nel mondo dei servizi digitali continuano a dimostrare un atteggiamento di estrema chiusura rispetto a tale tema. È il caso di Apple.

Proprio il 9 febbraio u.s., infatti, la Società ha subìto una storica condanna che, si auspica, possa contribuire ad ampliare il dibattito sul tema sia a livello nazionale ma, soprattutto, a livello europeo. Il colosso tecnologico, per la prima volta in Italia, è stato condannato dal Tribunale di Milano a fornire ai genitori di un ragazzo deceduto a causa di un incidente stradale tutto il supporto necessario per accedere agli account ad egli associati, al fine di procedere al recupero dei dati contenuti nel proprio spazio di archiviazione online (cd. iCloud), in quanto lo smartphone di proprietà dello stesso era andato distrutto durante l’evento.

La società Apple, nella fase stragiudiziale che ha preceduto il giudizio, aveva rigettato le richieste dei familiari del giovane ragazzo, adducendo quale motivazione la tutela dei dati sensibili del defunto, “che potrebbero contenere anche informazioni o dati personali identificabili di terzi”, subordinando, pertanto, il rilascio dei dati richiesti ad “un ordine del Tribunale che specifichi: 1) che il defunto era il proprietario di tutti gli account (omissis) 2) che il richiedente è l’amministratore o il rappresentante legale del patrimonio del defunto; 3) che, in qualità di amministratore o rappresentante legale, il richiedente agisce come “agente” del defunto e la sua autorizzazione costituisce un “consenso legittimo” secondo le definizioni date nell’Electronic Communications Privacy Act; 4) che il Tribunale ordina a (omissis) di fornire assistenza nel recupero dei dati personali dagli account del defunto, che potrebbero contenere anche informazioni o dati personali identificabili di terzi”.

Lo storico provvedimento del Tribunale di Milano. - Tale ostacolo, aveva spinto i familiari del giovane ragazzo ad intraprendere una coraggiosa azione legale in sede cautelare, all’esito della quale il Tribunale di Milano nella persona del Giudice dott.ssa Marta Flamini, con il provvedimento cautelare ante causam di cui al R.G.n. 44578/2020, riconosceva la sussistenza del fumus boni iuris e del periculum in mora (derivante dal fatto che, dopo un certo periodo di inattività, i dati contenuti nell’archivio sarebbero andati distrutti) e, pertanto, ordinava alla società Apple di fornire i dati contenuti nello spazio iCloud dello smartphone del giovane ragazzo, ritenendo del tutto illegittima la pretesa avanzata dalla Società in sede stragiudiziale, in quanto “il riconoscimento della persistenza dei diritti connessi ai dati personali in capo a chi vanti, come nel caso di specie, una ragione familiare meritevole di protezione, non può essere subordinato alla previsione di requisiti che, peraltro, con riferimento ad istituti di un ordinamento giuridico diverso da quello italiano (dinanzi al quale il diritto è azionato), introducono condizioni diverse da quelle indicate dal Legislatore”.

Apple, infatti, aveva subordinato l’esercizio del diritto da parte dei genitori del ragazzo defunto alla sussistenza di una serie di requisiti, tra cui la presenza di un amministratore, di un agente, o di un rappresentante legale del patrimonio del de cuius, figure riconosciute solo nell’ordinamento statunitense e del tutto estranee all’ordinamento italiano ed europeo.

Un focus sulla normativa italiana… – La normativa italiana trae la propria fonte nel Regolamento Europeo 2016/679 (GDPR) il quale, all’art. 6 par. 1 lett. f), autorizza il trattamento dei dati personali necessari per il “perseguimento del legittimo interesse del titolare del trattamento o di terzi”, sebbene il Considerando 27 allegato al GDPR escluda l’applicazione di detta normativa ai dati delle persone decedute, pur prevedendo una clausola di salvaguardia che consente ai singoli Stati Membri dell'Unione la facoltà di introdurre nei propri ordinamenti norme a tutela del trattamento dei dati di detti soggetti.

Con il decreto di armonizzazione del Codice Privacy alle norme contenute nel GDPR (D. Lgs 10 agosto 2018 n. 101), entrato in vigore il 19 settembre 2018, l’Italia, al nuovo art. 2 terdecies, ha recepito le previsioni di cui al richiamato Considerando n. 27, estendendo la portata delle norme contenute nel GDPR anche ai dati appartenuti a soggetti deceduti (previsione, peraltro, già contenuta nell’art. 9, comma 3, del Codice della Privacy precedentemente vigente), riconoscendo l’esercizio dei diritti di accesso, rettifica, integrazione, oblio e portabilità degli stessi “a chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell’interessato, in qualità di suo mandatario, o per ragioni familiari meritevoli di protezione” (che, nel caso che qui ci occupa, il Tribunale di Milano ha ravvisato nella volontà dei genitori del ragazzo defunto di accedere agli account e recuperarne i contenuti).

L’unica eccezione riguarda quelle informazioni soggette ad un particolare regime di segretezza per esigenze di ordine pubblico ovvero quelle relativamente alle quali il soggetto interessato abbia precluso l’utilizzo dopo la sua morte mediante dichiarazione scritta presentata al Titolare del trattamento o a quest’ultimo comunicata (e questa rappresenta la vera novità introdotta al comma 2 dell’art. 2 terdecies).

Un passo verso il futuro. – In conclusione, possiamo senz’altro ritenere che la pronuncia del Tribunale di Milano, che, ad oggi, possiamo definire di portata storica, rappresenta un primo passo verso l’integrazione giuridica tra il mondo che definiamo “analogico” e quello digitale, ma non quello definitivo.

La vera rivoluzione potrà dirsi iniziata quando le menti dei soggetti operanti nel mondo digitale, a tutti i livelli, saranno in grado di razionalizzare la materia ed operare spontaneamente ragionamenti logicamente corretti. Quando ogni aspetto della vita digitale, come avviene nella vita “analogica”, sarà adeguatamente regolato e supportato da vere e proprie norme giuridiche di portata generale in grado di autodeterminarsi ed autodeterminare e che siano sufficientemente idonee a disciplinare tanto i diritti spettanti agli utenti del web, quanto gli obblighi incombenti sui soggetti operanti in tale mondo, ma, soprattutto, che qualifichino i contenuti digitali generati dall’utente quale suo patrimonio che, come tale, costituisce un diritto fondamentale meritevole di una tutela forte. Il futuro, non dimentichiamolo, è il luogo in cui passeremo il resto della nostra vita.

Avv. Dario Tornese

Clicca qui sotto per scarica il provvedimento del Tribunale di Milano del 10/02/2021

 

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