L’affermazione di un’evoluzione-rivoluzione informatica è per tutti ormai paradigma assodato quanto inconfutabile: non una realtà parallela, ma una “realtà dentro la realtà”, un posto in cui si svolge la maggior parte della nostra vita.
La grande rivoluzione ha trovato il suo terreno fertile con la nascita di quello che volgarmente definiamo come il WEB 2.0., nonché la possibilità per tutti noi di essere utenti. Ma senza ombra di dubbio lo sviluppo culmina con la creazione delle c.d. “killer application” (o killer app), locuzione inglese, spesso utilizzata nel gergo dell’informatica, letteralmente definita come applicazione assassina ma intesa in senso metaforico quale applicazione vincente determinante il successo di un hardware piuttosto che di un altro, grazie alla quale la tecnologia stessa penetra nel mercato, imponendosi rispetto alle tecnologie concorrenti.
Le killer app di maggiore successo sono senz’altro i social network, Facebook conta due miliardi di utenti attivi al giorno. Ma l’avvento di tali app ha determinato un’ulteriore rivoluzione: il passaggio da mezzi di comunicazione di massa (radio, giornali, tv) a mezzi di comunicazione per le masse, in cui risulta praticamente assente un sistema di broadcast[I], nonché la presenza di un soggetto “mediatore” (gatekeeper) che filtri le informazioni. Un cambio di rotta sensibilmente importante in cui vi è la possibilità per chiunque di esprimere idee e ricercare informazioni.
Ma quanto può far male la deresponsabilizzazione in tema digitale?
L’art. 21 della Costituzione, sulla “libertà di espressione”, rinvenibile sia in ambito Europeo[II], quanto in ambito internazionale[III], si pone, inevitabilmente, in contrasto con l’avvento dirompente delle nuove tecnologie informatiche. A riguardo, il dettame costituzionale presenta indeterminatezza, non definendo contenuto e mezzo[IV] dell’espressione. Orbene, l’importanza di tale libertà ha determinato la nascita di risvolti impliciti; se essa si configura come espressione della partecipazione del singolo alla vita dello Stato, è lecito sostenere che TUTTI i diritti di manifestazione del pensiero presentino un’intrinseca natura sociale. Vi è però un’ulteriore contraddizione: infatti, pur ritenendo illimitata la tutela dell’art.21 della Costituzione, è pur vero che “il concetto di limite sia intrinseco nello stesso concetto di diritto, nell’ambito dell’ordinamento, le varie sfere giuridiche devono di necessità limitarsi reciprocamente, perché possano coesistere nell’ordinata convivenza civile"[V].
Ciò che appare, sotto un profilo di bilanciamento dei diritti, è un’evidente tensione fra la libertà di espressione e il diritto di essere correttamente informati.
La natura sociale della libertà di espressione mal si concilia con l’uso di algoritmi da parte dei motori di ricerca e degli ISP [VI]. In questo quadro, i social networks e le nuove tecnologie utilizzate determinano flussi informativi incontrollabili. In tale ambito, certamente, possono inserirsi le c.d. “fake news”, termine ormai ampiamente diffuso, dal significato etimologico di “notizia falsa” ovvero, più comunemente, bufala. Si tratta, nel migliore dei casi, di notizie inesatte, false ovvero fuorvianti che fanno leva sull’inerzia dell’utente, che spaesato di fronte alla vastità del web, si rassegna ad accettare come veritiero ciò che gli viene presentato come tale; nel peggiore, le fake news vengono appositamente progettate per scopi malevoli.
Proprio con riferimento al particolare momento sociale, uno studio di Avaaz riporta come notizie non verificate e fake news sarebbero state visualizzate almeno quattro volte di più di informazioni a contenuti diffusi su Facebook da soggetti istituzionali. Tutti gli sforzi nel cercare di frenare la diffusione di fake news e i suoi effetti politici e sociali sembrano stati vani e poco sembra essere stato fatto in concreto per disincentivare le condotte più controverse. E così, mentre la curva epidemiologica mostra la sua crescita giornaliera, parallelamente, la disinformazione raggiunge i suoi livelli massimi (la paura del 5G e le bufale sul tema a riguardo hanno raccolto oltre 13 milioni di visualizzazioni, 8,4 milioni invece le views sul presunto piano di vaccinazioni voluto da Bill Gates, per non tralasciare come le più strampalate cure alternative al COVID-19 siano stati i topos della disinformazione online).
Le motivazioni della loro diffusione sono sicuramente varie. La prima è certamente quella di carattere economico, il lettore, rapito dal titolo, clicca per leggerne il contenuto e quel clic genera traffico, il più delle volte monetizzato. Ma ancora, possono essere dei veri e propri attacchi personali, ovvero un pilotaggio su questioni di carattere sociale o politico.
Le innegabili preoccupazioni poste dalle fake news, anche in relazione ai succitati diritti, hanno portato sia l’Unione Europea [VII] che alcuni Paesi nazionali ad intervenire.
È importante evidenziare come l’Italia sia stato uno dei primi Paesi a tentare la via della legiferazione, con i progetti di legge Gambaro, De Maria e Zanda-Filippin. Si pongono però seri dubbi sull’efficacia di queste iniziative che, pur ben strutturate, devono confrontarsi con un flusso di informazioni fake con portata di diffusione globale ed autori sia immediati che mediati, magari ubicati in Paesi stranieri.
Sebbene in rete circolino vari elenchi di buone pratiche da seguire per riconoscere le bufale online, è pur vero che ad oggi non esista ancora una soluzione efficace al 100% contro la disinformazione. Un antidoto è rappresentato dall’OSINT (Open Source Intelligence). Il riferimento è alle informazioni che sono state scoperte, selezionate, analizzate e diffuse ad un’audience selezionata per risolvere una determinata questione [VIII].
Come si distingue una notizia vera da una notizia falsa?
Fin da bambini ci viene insegnato che, quando si svolge una ricerca, un momento fondamentale è sicuramente quello della verifica delle fonti.
Le attività di OSINT si basano su quelle fonti pubblicamente accessibili che spesso vengono utilizzate per la creazione di fake news e, dunque, incorporano di default nel loro ciclo l’antidoto alla falsità creata sul web. Per questo motivo, le tecnologie utilizzate dall’OSINT sono spesso sfruttate per verificare l’attendibilità dei contenuti di articoli, post di Facebook, Tweet: nel dubbio, è sempre utile tracciare contenuti, fonti e autori per determinare il loro livello di credibilità.
Alla luce di questa rivoluzione digitale, ove realtà e virtuale si fondono ormai tra loro, è chiaro che devono essere previste nuove forme di tutela a difesa della persona in una dimensione giuridica nazionale e internazionale. Per questo motivo, risulta necessario dare più importanza a strumenti che consentano di navigare consapevolmente in questo mare di informazioni e di ritrovare rapidamente, fra queste, quelle rilevanti e attendibili, non solo, quindi, per reperire le risposte a determinate questioni, ma anche per obiettivi di sicurezza informatica e tutela contro la disinformazione.
Odette Tripicchio
Studentessa della facoltà di giurisprudenza dell'Università della Campania "Luigi Vanvitelli"
Partecipante al Legal Tech Contest per l'assegnazione della borsa di studio per la VIII edizione del Corso di Formazione sul Processo Civile Telematico e sulla Giustizia Digitale
BIBLIOGRAFIA:
I Sistemi che prevedono la presenza di centri di diffusione del segnale, che inviano segnali a molti recettori (tendenzialmente passivi, che ricevono solamente). Nel web 2.0 non vi è questo sistema poiché la diffusione del segnale proviene da tanti piccoli dispositivi che ricevono e diffondono informazioni.
II Art. 10 CEDU; Reg. UE 11 marzo 2014, 235, par. 11.
III Art. 19 Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
IV È indubbio che limitazioni al mezzo finiscano per incidere, inevitabilmente, sulla libertà di espressione. A tal proposito, M. Orofino evidenzia come «la Corte, pur mantenendo l’opzione unitaria [manifestazione e informazione sono due aspetti della medesima libertà], ha introdotto indirettamente una differenziazione tra libertà di manifestazione del pensiero e libertà di informazione non basata sul contenuto, come una prospettiva funzionale avrebbe forse domandato, ma sul mezzo».
V Corte Cost., 14/06/1956, n. 1.
VI Internet Service Provider (ISP).
VII L’Unione europea ha in tal senso pubblicato il report “A multidimensional approach to disinformation”, la comunicazione “Tackling online disinformation: a European approach” e il Code of Practice on Disinformation.
VIII Definizione di OSINT rinvenibile nell’Open Source Intelligence Handbook della NATO, pubblicato nel 2001.
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